La cresta rocciosa è la Vena del Gesso, come appare da Tossignano. L'aspetto striato è dovuto all'alternarsi di grossi banchi di gesso, chiari, e straterelli di argilla, scuri. Visibile particolarmente bene tra la Valle del Sillaro e quella del Lamone, la Vena del Gesso è l'ultima sedimentazione del Miocene, depositata sul fondo di lagune costiere; poggia su terreni più antichi e più teneri, di marne e argille, coperti da un fondo di prato su cui spiccano i riquadri geometrici delle coltivazioni: filari di viti e schieramenti di alberi da frutto . Alla base della roccia gessosa si accumulano massi e detriti franati. Foto scattata da Tossignano (Valle del Santerno), uscita dal paese verso Sudest. Le strisce chiare di gesso sono le testate degli strati: inclinati verso Nordest: la dorsale di gesso è diretta come l'Appennino, tagliata trasversalmente dalle valli; qui sale verso lo spartiacque tra Santerno e Senio. Il gesso è un deposito evaporitico, dove si tratta di gessi molto più antichi; questo è della fine del Miocene, circa 7 milioni di anni fa. Interessante come pietra da costruzione, come materia prima per l'industria chimica e per la presenza dello zolfo.
1 - Introduzione allo studio dell'Emilia-Romagna
Traversato il Po e imboccata la Via Emilia, dopo un chilometro si arriva nella piazza principale di Piacenza, luogo di incontro per gli abitanti della città e della campagna circostante, specialmente nel giorno del mercato, che a Piacenza è il sabato. Sullo sfondo, la facciata del Palazzo del Comune, chiamato Palazzo Gotico, della fine del Duecento; nella torretta al centro si vede il campanone civico. A destra, presso il mercatino, la statua di Ranuccio Farnese, opera di Francesco Mochi: uno dei monumenti barocchi per cui la piazza si chiama «Piazza dei Cavalli». Fotografia scattata dal balcone del Palazzo del Governatore, ora Camera di Commercio, a Piacenza. La Via Emilia passa per il centro di molte città emiliane: a Piacenza è un po' decentrata e, caso unico, piega ad angolo retto. La seconda statua equestre del Mochi (1620-1625) si trova a sinistra.
Il fiume che si vede serpeggiare a destra, diviso in molti rigagnoli, nel largo letto colmato dai propri sedimenti, è il Secchia. La sua valle si apre fra pareti di roccia chiara, che sembrano tagliate di fresco invece che lentamente scavate in centinaia di migliaia di anni. Sono queste le rocce più antiche visibili nell'Appennino Settentrionale: sono gessi e calcari dolomitici, depositatisi sul fondo di un antichissimo mare, saturo di sali. Sopra, verso sinistra, la distesa pianeggiante con prati e boschi è costituita dalle argille scagliose, che ricoprono i gessi. Ancora sopra, il blocco della Pietra di Bismàntova, depositatosi sopra le argille. Al centro, più lontano, il Monte Fòsola, della stessa roccia di cui è fatta la Pietra. Foto scattata dalla strada Busana-Ligonchio, al secondo tornante. Il Secchia è uno dei più lunghi tra i corsi d'acqua della Regione (secondo, dopo il Reno); in questo tratto è diretto quasi da Ovest a Est, allontanandosi dalla direzione prevalente Sudovest-Nordest. Il largo greto in cui il fiume serpeggia in rivoli che si dividono e si ricongiungono è indizio di intensa attivita erosiva. Le rocce del fondovalle sono le Evaporiti del Trias (derivate da evaporazione o soprasaturazione di acqua salata, 170 milioni di anni fa); nell'Appennino Settentrionale si vedono solo qui, ma è da ritenere che si trovino dappertutto sotto le altre rocce più recenti.
Un largo tratto dell'Appennino bolognese, visto dalla vetta del Monte Adone. Le case a sinistra appartengono al paesino di Brento. Più in basso scorre il Torrente Sàvena, verso sinistra. Sul fianco della valle, molte tracce di smottamenti: uno smottamento in atto si vede a destra, fiancheggiato dalla strada diritta; le chiazze di campi verdi indicano i tratti più stabili. Il salto roccioso che attraversa la parte centrale della fotografia, salendo da sinistra verso destra è il «Contrafforte Pliocenico»: un fronte di arenaria più dura, con strati che pendono verso sinistra. Aggrappate a queste rocce, al centro, si vedono le case di Livergnano. L'ultima altura in fondo è il Monte delle Formiche, con la chiesa di Santa Maria di Zena. Foto scattata dalla vetta del Monte Adone (m 655), guardando verso Sudest. Da sinistra, sul pendio più alto, si vede salire la strada Bologna-Firenze (della Futa) che passa per Livergnano. Il contrafforte pliocenico comincia con la rupe di Sasso Marconi e finisce con il Monte delle Formiche, così chiamato perché in settembre vi cadono sciami di formiche dopo il volo nuziale (oggetto di antichi rituali).
Nella media valle del Reno sorgeva, tra il 500 e il 400 avanti Cristo, una grande città etrusca di cui non conosciamo il nome. Questi sono i resti della Necropoli Est, scavati nel secolo scorso e rimessi insieme un po' arbitrariamente. Le tombe a cassa, di travertino, erano sotterrate: emergevano dalla terra i cippi, fatti di grossi ciottoli, naturali o appena sbozzati in forma di uovo. Nello sfondo si vede il largo greto del Reno; sulla sponda opposta, un terrazzo fluviale erboso, su cui incombe una parete quasi verticale di «Argille Grige» del Miocene, intagliata da calanchi, che il fiume scalza alla base. Foto scattata dalla S.S.64, Porrettana, al km 68 circa, 500 metri a Sud di Marzabotto. Fotografia presa dalla Porta Orientale della città etrusca. Il luogo è chiamato Pian di Misano e la città forse si chiamava Misa: è su un terrazzo fluviale costruito dal Reno nel Quaternano; in parte franato, in tempi storici: con la perdita di circa un terzo dei resti delta città. Era una città industriale e commerciale, sulla strada della Toscana. Marzabotto ricorda una feroce rappresaglia tedesca del 1944, in cui sono stati massacrati 1830 abitanti.
L'Appennino è vicinissimo a Bologna. La città si arrampica sulle prime falde delle colline, frenata da una politica urbanistica che vuol difendere questo raro privilegio: un paesaggio collinare verde e rustico a così breve distanza dall'ambiente urbano. Vediamo la valle del torrente Àposa sboccare in città, in direzione del centro storico, del quale si possono riconoscere i principali edifici: le Due Torri al centro; a destra la cupola di San Bartolomeo e il campanile di San Giacomo Maggiore; a sinistra la cupola verde di Santa Maria della Vita, l'alta mole di San Petronio con il suo campanile, il duomo. Foto scattata dai pressi della strada collinare Bologna-Paderno (Via dei Colli), circa 3 km da Porta S.Mamolo. La Torre degli Asinelli è lontana in linea d'aria 3,25 km: è alta 98 metri. Il margine dell'Appennino in questo punto è costituito da marne sabbiose del Miocene recente (a differenza, p. es., della fot. 7): vi attecchiscono boschi e colture. Il Torrente Aposa è stato da molto tempo canalizzato e coperto: oggi è parte del sistema di fognature di Bologna.
Bologna vista da cento metri d'altezza: dalla Torre degli Asinelli, guardando verso Sudest. La lunga strada diritta è la Via Emilia, che in questo tratto si chiama Strada Maggiore, all'interno delle mura della cìttà. La strada appare stretta; ma quella che si vede è soltanto la parte riservata al traffico dei veicoli: come in tutte le principali strade di Bologna ci sono larghi portici per i pedoni, su entrambi i lati. A sinistra emerge lantica Torre degli Oseletti; subito dopo, a destra, la facciata di Santa Maria dei Servi, con il convento e il campanile dall'alta cuspide. Poco oltre, la strada esce dalle mura e prosegue sempre dritta verso il mare. Foto scattata dalla sommità della Torre degli Asinelli Bologna. Come in tante altre città dell'Emilia-Romagna, la Via Emilia attraversa Bologna, con andamento rettilineo; attraversava già la città romana (ne era il decumano).
Il fiume Panàro al suo arrivo in pianura: l'alveo si allarga, la velocità diminuisce e l'acqua deposita grandi quantità di sedimenti, strappati dal fiume alla sua valle, una delle più franose dell'Appennino. Di sedimenti più antichi è costruito il terrazzo fluviale ai lati dell'alveo, quasi interamente coperto di ciliegi in fiore. Su un terrazzo ancora più antico, e più alto, sorge la cittadina di Vignola: le torri della sua Rocca stanno a guardia del ponte sul fiume. Foto scattata dalla S.S. 623, del Passo Brasa (o via Parini: decisa dal governo Farini, 1859), tra Vignola e Guiglia, al km 27 circa. La veduta è verso Nordest. La valle del Panàro è scavata in gran parte nelle Argille Scagliose (8). La zona intorno a Vignola è specializzata nella coltivazione del ciliegio: in aprile si raccomanda per lo spettacolo della fioritura. La Rocca di Vignola è del primo quarto del Quattrocento.
Sul margine dell'Appennino, le argille plioceniche, nel versante esposto a Sudovest, si presentano quasi spoglie di vegetazione, intagliate dai sistemi di valloncelli chiamati «calanchi». Dietro, si vedono gli agglomerati urbani della pianura, allungati in due fasce parallele, secondo la direzione Nordovest-Sudest: la stessa direzione dell'asse appenninico e della Via Emilia. Nella fascia più vicina, a sinistra: Formìgine, davanti all'alta torre di un acquedotto. Nella più lontana: Modena; spicca al centro la Ghirlandina, torre campanaria del duomo, riconoscibile per lalto coronamento piramidale. Foto scattata dalla strada Sassuolo-Prignano sul Secchia fino al bivio dopo Ponte Nuovo, poi a sinistra nella S.P. 20 per Montebaranzone-Serramazzoni). al km 3,7; guardando verso Nordest. Sul terreno argilloso i calanchi si sviluppano di preferenza nei versanti a Sud o Sudovest, per ragioni non del tutto chiarite. Gli insediamenti industriali e residenziali del comprensono della ceramica sono in una fascia pedemontana che nella fotografia è nascosta dalle colline. Si vedono altre due fasce urbanizzate: una intermedia (Formigine-Castelnuovo Rangone) e una più lontana (Modena). La Ghirlandina è lontana 18 km: è alta 88 metri.
Due conetti attivi nel complesso delle Salse di Nirano. Monticelli di fango si accumulano intorno alle bocche da cui salgono gas, soprattutto metano: il gas trascina con sé acqua e argilla, che formano appunto il fango. L'argilla disponibile è «Argilla Azzurra», del Pliocene: il nome è giustificato dal colore della colata fresca che scende sul conetto di sinistra: la si segue fino alla base del cono. Sulle colate secche si insedia una vegetazione adatta agli ambienti salini, perché l'acqua che sgorga dai conetti è salata. Foto scattata dalla Strada Sassuolo-Maranello, a Spezzano prendere a destra per 2,5 km, poi ancora a destra. Osservare il vigneto: ci si sforza di coltivare più che si può, su un terreno ingrato. Le salse devono il nome al loro fango salato. Si chiamano anche «Vulcanetti di fango», ma non sono vulcani. Risultano dal concorso di alcune circostanze: accumulo di gas in profondità; fratture nelle rocce attraverso cui il gas può risalire; vene d'acqua sotterranee che il gas trascina con sè; argille che con l'acqua producono il fango.
La vetta del Monte Cimone, a 2165 metri sul livello del mare, è il punto più alto della Regione. La montagna ha la forma di una piramide, larga e schiacciata: qui ne vediamo la faccia rivolta a Sudovest. I colori dell'autunno inoltrato mettono in evidenza le fasce di vegetazione: siamo tra 900 e 1000 metri, al limite del castagno; il colore violaceo dei faggi giunge fin verso i 1700 metri; sopra, i pascoli d'al titudine e la brughiera a mirtilli sono imbiancati dalla prima neve, che disegna gli strati sul Macigno. Foto scattata dalla S.S.12, dell'Abetone e del Brennero, al km 94 circa (poco sopra Fiumalbo). Nella gola che si vede in centro scorre il Rio Acquicciola; in primo piano in basso, il Torrente delle Pozze: confluiscono a Fiumalbo e danno origine allo Scoltenna. Pur essendo la cima più alta della Regione, il Cimone non è sullo spartiacque principale appenninico (l'acqua che piove sulla sua vetta rimane tutta in Emilia); ha neve d'inverno (nessun monte dell'Emilia-Romagna ha neve permanente); ospita frequentate attrezzature per sport invernali, soprattutto sul suo fianco Nord.
Il Passo del Cerreto, sullo spartiacque appenninico, mette in comunicazione la valle del Secchia, a sinistra, con la Lunigiana. È anche il confine tra Emilia-Romagna e Toscana. Il terreno, dalle morbide ondulazioni, è fatto di depositi morenici dell'Età Glaciale; è coperto da una foresta di faggi, che in alto lasciano il posto al prato e agli affioramenti di Macigno del Monte La Nuda. Nella parete del monte è scavato iI circo glaciale da cui è disceso il piccolo ghiacciaio quaternario che ha accumulato i depositi morenici. Alberghi e attrezzature turistiche sorgono sul valico e sulla strada che porta a un gruppo di laghetti, divenuti recentemente stazione di sport invernali. Foto scattata poco sopra il Valico del Cerreto (m 1261), a Nordovest. Via di comunicazione transappenninica, frequentata fin dall'antichità (vi passò Dante quando salì sulla Pietra di Bismàntova; veniva da Lucca).
Da una sponda all'altra del Po, a Piacenza, un fascio di comunicazioni collega la Lombardia con l'Emilia-Romagna. Il ponte stradale, in primo piano, immette, verso destra, nella Via Emilia. Dietro, più a valle, il ponte della ferrovia. Ancora più lontano, si intravvede la struttura del ponte di un metanodotto, che porta il gas attraverso il fiume. Presso il margine sinistro della fotografia, uno degli altissimi tralicci che sorreggono i fili su cui anche l'energia elettrica scavalca il fiume. E al centro della travatura di ferro del ponte stradale corrono i cavi della rete nazionale di telecomunicazioni: lì stanno passando in questo momento forse mille conversazioni telefoniche. Così, uomini e merci, energia e segnali attraversano il fiume su linee press'a poco parallele, che si prolungano poi per tutto il territorio della Regione Emilia-Romagna, da Nordovest a Sudest. Fotografia fatta dalla passeggiata lungo il Po, a Piacenza, guardando verso valle. Osservare, sulla campata centrale dei ponti, i segnali bianchi e rossi per la navigazione fluviale: il Po è esso stesso una via di comunicazione, sede di traffico per natanti.