Solamente Ferrara, sotto la casa d'Este, raggiunse un rilievo politico sovraregionale, ed in breve estese i suoi domini ai territori di Modena e Reggio, all'Appennino fino alla Garfagnana e a parte delle Romagne. Il nuovo stile rinascimentale trovò nella città estense piena espressione: l'urbanistica fu completamente rinnovata e incentrata attorno alla rocca dove risiedeva il principe; nelle campagne circostanti sorsero "luoghi di delizia" (famoso quello della Mesola) dove la corte poteva dilettarsi in cacce ed in festose attività all'aperto senza però rinunciare ai lussi cittadini.
Le terre migliori, seguendo un processo già in atto da tempo, si concentrarono nelle proprietà degli enti ecclesiastici e dei ceti cittadini più abbienti, in primo luogo i signori detentori del potere, ma anche l'aristocrazia curtense e, in misura minore, la borghesia mercantile. L’espansione del peso delle città sul contado fu sancita dal sorgere delle "ville", che furono sia luogo di svago e di soggiorno (da cui deriva il termine "villeggiatura"), sia solide entità economiche i cui profitti confluivano alle città. Questa condizione di dipendenza – quando non di asservimento - contribuì ad un generale depauperamento della realtà contadina ed ebbe come conseguenza la creazione di una numerosa classe mezzadrile spesso mantenuta ai limiti della sussistenza.

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Nelle campagne si erano andate intanto affermando alcune nuove colture: la canapa, soprattutto nel Bolognese, e il riso nelle terre basse soggette ad allagamenti temporanei. Inoltre, il diffondersi dell'allevamento del baco da seta punteggiò le campagne di filari di gelsi, talvolta usati come tutori delle viti nelle "piantate". La canapa, la lana, la seta ed il lino alimentarono una fiorente attività manifatturiera che conobbe una fase d’espansione per tutto il Cinquecento, incrementando notevoli flussi d'esportazione.
L’alto valore dei terreni agricoli rendeva economicamente convenienti costosi interventi di bonifica. Così i Da Polenta a Ravenna, i Bentivoglio a Bologna e, soprattutto, gli Estensi, ampliarono di molto le loro proprietà prosciugando vaste plaghe palustri con lavori di ampio respiro, veri e propri progetti di sistemazione territoriale che inaugurarono la moderna stagione di bonifiche pianificate, terminata solamente nella seconda metà del XX secolo. La regolazione della rete di scolo era volta anche a scongiurare, per quanto possibile, il succedersi di alluvioni che interessavano la bassa pianura, rischiando continuamente di vanificare gli sforzi per aumentare i terreni asciutti. Così nel corso del XVIII secolo il Reno e alcuni torrenti romagnoli – fra cui il Sillaro, il Santerno e il Senio – furono racchiusi fra imponenti arginature e convogliati nell’alveo del Po di Primaro, che in seguito agli eventi della Rotta di Ficarolo era rimasto praticamente escluso dalla rete idrografica padana.

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Nel frattempo aveva subìto profondi cambiamenti anche il corso terminale del Po. Il ramo delle Fornaci, infatti, rappresentava una costante minaccia alla navigabilità nella laguna di Venezia, in quanto ne stava lentamente interrando le bocche di comunicazione col mare. Il Senato della Serenissima deliberò perciò un’opera senza precedenti: la deviazione dell’intera portata fluviale in un canale artificiale, il famoso "Taglio di Porto Viro" - che la convogliasse più a sud, lontano dalla laguna. I lavori, eseguiti fra il 1599 e il 1604, diedero al fiume la via che segue ancor oggi ed ebbero come conseguenza la formazione dell’attuale delta lobato, che è quindi il risultato di un intervento artificiale.
Sull’appennino, la progressiva occupazione delle terre favorevoli era alla fine del XVI secolo un fatto compiuto, essendosi ormai diffusa su tutto lo spazio utile una forma di insediamento costituita da piccoli borghi - spesso sedi parrocchiali - su cui gravitavano le abitazioni isolate poste al centro dei rispettivi poderi, questi ultimi in progressivo aumento a scapito del bosco. La crisi demografica della seconda metà del XIV secolo, provocata da uno spaventoso avvicendarsi di pestilenze e carestie, era ormai stata riassorbita e la popolazione montana era avviata ad una fase di crescita lenta, ma costante che durò - con qualche temporanea battuta d'arresto - fino alla fine del secolo scorso.

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All'inizio del Seicento era già definita la tripartizione regionale che si manterrà sostanzialmente immutata, con la parentesi napoleonica, fino all'Unità d'Italia: il Ducato Farnese a Parma e Piacenza, quello D’Este ridotto a Modena e Reggio, e le Legazioni pontificie comprendenti Ferrara, Bologna e le Romagne; alcuni minuscoli principati furono in breve assorbiti dalle entità maggiori. Alla metà del Cinquecento gli abitanti regionali ammontavano complessivamente a circa 600.000, ma già all'inizio del Settecento avevano superato il milione e nei primi anni del secolo successivo erano poco più di un milione e mezzo, ripartiti fra le Legazioni (850.000 anime), il Ducato di Modena (320.000) e quello di Parma (340.000). Bologna, con circa 70.000 abitanti alla fine del Settecento, era la città più popolosa e, grazie alla sua posizione, alle manifatture tessili ed all'Università, era al centro di un notevole movimento di merci e di uomini.
La stabilità politica consentì un sensibile aumento demografico ed una certa crescita quantitativa dell'economia, ma le manifatture non riuscirono ad espandersi e la compagine produttiva e sociale delle campagne rimase invariata. Nel corso del Settecento si andò invece modificando la struttura della proprietà terriera con l’affermarsi di una nuova borghesia che lentamente andava erodendo gli enormi possedimenti aristocratici ed ecclesiastici. La classe emergente era formata in prevalenza da mercanti e professionisti cittadini che investivano i redditi nelle proprietà fondiarie, ma anche da piccoli coltivatori che riuscivano ad incrementare i loro beni grazie ai risparmi derivati da attività come la bachicoltura o le lavorazioni artigianali che si andavano estendendo anche nelle campagne.

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Nel Ducato di Parma aveva già allora un notevole peso l'allevamento bovino e suino che alimentava un redditizio commercio di formaggi e salumi; in quello di Modena erano invece particolarmente estesi i vigneti. Durante il Settecento si diffusero le nuove colture americane: la patata - che si affiancò alla castagna nel ruolo di risorsa alimentare fondamentale per le popolazioni montane -, il pomodoro ed il mais, che in breve soppiantò i tradizionali cereali poveri. La coltura del riso seguiva il progredire delle bonifiche per colmata, raggiungendo la massima estensione nel secolo successivo.
La tradizionale piantata si sviluppò in pianura e nei fondovalle pianeggianti fino a divenire un elemento paesistico di primaria importanza. "Questa parte del paese sembra la migliore […]; la buona condizione delle case, sparse in grandissimo numero in tutte le direzioni, si estende fino agli edifici agricoli e alle siepi a un grado poco comune anche nelle parti più belle dell'Inghilterra. Gli alberi destinati a sostenere la vite sono già vecchi e, benché le foglie siano cadute, si potrebbe credere di attraversare una foresta. In estate l’illusione deve essere completa.", scriveva delle campagne circostanti la Via Emilia l’agronomo inglese Arthur Young nella relazione sul suo viaggio del 1789.
Nei Ducati la relativa abbondanza d’acqua, fornita anche dai fontanili, favorì lo sviluppo di un’estesa rete irrigua (secondo il vicino esempio della Lombardia) che consentiva ottime produzioni foraggiere, favorendo una marcata specializzazione nell’allevamento zootecnico. Quasi ovunque il grano era la coltivazione principale di un sistema di avvicendamento biennale che lo vedeva alternato a leguminose, ai cereali minori e, soprattutto, al mais. Solo nel Bolognese la rotazione interessava in prevalenza una pianta diversa, la canapa, che costituiva, attraverso l’esportazione del prodotto grezzo o semilavorato, la principale fonte di rendita agraria.