Cos'è il paesaggio
Il "paesaggio" è argomento sterminato e difficile da circoscrivere; e non pare certo questa la sede per una disquisizione approfondita, anche perché si tratta di un "concetto" che ha subìto una profonda evoluzione nel tempo. È però necessario fornire alcune coordinate fondamentali che potranno essere utili, per introdurre l'argomento, e per definire tutto il lavoro seguente.
Il termine "paesaggio" deriva dalla commistione del francese paysage con l'italiano paese. Il suo significato più tradizionale è fornito dalla pittura (perché sono le arti visive che hanno guidato l'evoluzione nel tempo del concetto, almeno fino al secolo scorso) e vuole indicare una visualizzazione di quella realtà concreta che è appunto il paese. Una delle interpretazioni possibili del paesaggio può perciò limitarsi a identificarlo con "l'immagine da noi percepita di un tratto della superficie terrestre". Ma è facile comprendere come tale assunto non sia soddisfacente nella totalità dei casi.
Nell'uso più largamente praticato, e più semplice, il paesaggio è (o quasi) sinonimo di "panorama", la veduta di una di territorio da un determinato punto di visuale. Se limitato a questa accezione "visiva", il paesaggio può facilmente essere riprodotto, perdendo tuttavia alcune delle sue caratteristiche: una fotografia può fissarne gli aspetti visibili, comprendendo però solo una parte della veduta; in un disegno o in un dipinto, l'esito dipenderà dall'abilità del pittore, dalla sua ispirazione momentanea, dal tipo di elaborazione artistica, dalla tecnica usata, e da molti altri fattori.
Si consideri, inoltre, come la rilevanza nella veduta dello stesso componente possa variare secondo la distanza e l'angolazione prospettica. La medesima montagna sarà enorme ed incombente se vista dai sui piedi; potrà invece quasi scomparire fra la distesa di altre cime se osservata in distanza, magari da una cima più alta. È facile capire come una definizione esclusivamente "visuale" del paesaggio non possa che essere riduttiva, limitandosi, in ultima analisi, ad una sua valutazione estetica e formale, oltre che del tutto soggettiva.
In realtà, non esiste un paesaggio più bello di un altro perchè ognuno è particolarmente sensibile ai paesaggi che più gli risuonano dentro, che riecheggiano cose note e riconosciute come piacevoli, spesso anche in contrapposizione con il vissuto quotidiano. Così, gli abitanti di una grande città moderna possono amare le spiagge infuocate dal sole estivo, mentre chi vive in terre del deserto rifugge l'esposizione diretta ai raggi solari e nel suo immaginario il "bello" è un'oasi, un campo irrigato, un giardino animato da fontane.
Liberarsi dai limiti imposti da una determinata veduta è perciò un passo indispensabile per ampliare il concetto di "paesaggio", allargandolo all'insieme delle caratteristiche percepibili di un certo territorio.
Quando si parla del "paesaggio alpino", o di quello "lagunare", si fa riferimento ad un insieme di elementi fondamentali correlati fra loro con connotati costanti: ne fanno parte le linee del terreno e la quota altimetrica, i volumi, i colori dominanti, la copertura vegetale, il sistema idrico, l'organizzazione degli spazi agricoli e di quelli urbanizzati, i tipi edilizi, e via dicendo. La ripetizione e la coordinazione di tutti questi componenti contraddistinguono il paesaggio di territori omogenei, quasi sempre però con ampie sfumature di raccordo fra ambiti paesistici differenti; quindi, usando le parole di Eugenio Turri: "Identificare il paesaggio significa [...] identificare delle relazioni che si ripetono in uno spazio più o meno esteso entro il quale il paesaggio esprime e sintetizza le relazioni stesse."
La definizione meno arbitraria che possiamo dare del paesaggio, interpretandolo come "manifestazione sensibile dell'ambiente, realtà spaziale vista e sentita", è profondamente soggettiva, comportando in ogni caso un osservatore che metta in gioco la sua sensibilità particolare, la sua cultura, la sua capacità ed il suo modo di vedere. Il paesaggio (landscape) è infatti strettamente correlato all'inscape - termine inglese senza corrispettivo nella lingua italiana - che può essere definito come paesaggio interiore, sia dell’individuo che della collettività. E dall'indispensabile presenza di un osservatore che identifichi il paesaggio alla luce del suo bagaglio culturale deriva che ognuno debba avere un proprio paesaggio in cui riconoscersi, specchio che riflette le radici delle persone e dei popoli e che viene consegnato alla generazione successiva perché a sua volta lo viva modellandolo in forme nuove.
Questo è sempre accaduto: i paesaggi antropizzati, cioè la quasi totalità dei paesaggi italiani, sono frutto di sovrapposizioni che aiutano, fra l'altro, a dare una lettura compiuta delle epoche precedenti. Vi è perciò una sorta di interscambio continuo: l'uomo modifica il paesaggio ed il paesaggio modifica l'uomo. Osservando con attenzione e sensibilità i segni impressi dalle attività antropiche su un paese, è possibile capire molte cose sul carattere dei suoi abitanti, sulle loro abitudini, sul loro modo di intendere l'organizzazione degli spazi e della vita stessa; e d'altra parte, elementi oggettivi quali il clima, l'acclività, la fertilità del terreno, possono a loro volta condizionare grandemente il carattere di un popolo.
Così come molteplici e diversi sono gli elementi che hanno plasmato il paesaggio, anche all'interno di ognuno di noi - del nostro bagaglio culturale più profondo e sedimentato, della nostra sensibilità e della nostra più autentica identità - gli stessi elementi hanno lasciato un'impronta indelebile. È questo "palinsesto culturale", questo inscape che rende esotici i paesi stranieri e che genera la nostalgia di chi è lontano e soprattutto degli emigranti e degli esuli, incapaci di riconoscersi in paesaggi che non appartengono al loro essere. È forse anche il motivo per cui percepiamo come vere e proprie offese gli sfregi più brutali al paesaggio, in quanto vanno a ferire la consapevolezza più intima di noi stessi.