Cos'è il Project financing
Il concetto di Project financing (Finanza di Progetto)
Project financing è quasi una locuzione magica, evocata in tutti quei casi in cui le risorse pubbliche scarseggiano.
La sua traduzione letterale “finanza di progetto” non ci dà alcun conto sul suo significato. Nei riferimenti correnti si tende a far coincidere il project-financing con la procedura introdotta nel nostro ordinamento con la cosiddetta Merloni ter (legge 415/1998) attraverso gli articoli 37 bis e seguenti della legge quadro sui lavori pubblici (legge 109/1994).
Oggi, in seguito all’entrata in vigore del c.d. Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, ossia il D.Lgs. n. 163/2006, come da ultimo modificato del D.Lgs. n. 152/2008, vi è addirittura un articolo rubricato come “finanza di progetto”, ossia l’art. 153. Occorre, al riguardo, precisare da subito che tale riferimento appare quanto meno restrittivo. L’art. 37 bis della L. 109/1994 ha, infatti, introdotto nel nostro ordinamento, semplicemente, la possibilità per un operatore privato, definito come promotore, di proporre la realizzazione di opere pubbliche attraverso un contratto di concessione.
Il Codice dei contratti pubblici ha riproposto l’istituto al Capo II del titolo III, Parte II. La prima stesura del Codice dei contratti pubblici prevedeva una normativa che è stata quasi totalmente abrogata ad opera del D.Lgs. 152/2008, c.d. "terzo decreto correttivo al Codice". Quindi l’evolversi incessante delle normative in materia ha portato oggi ad una disciplina completamente nuova dell’istituto.
Prima delle ultime modifiche si prevedevano i due modi per giungere alla conclusione di un contratto di concessione, ossia quello a c.d. “iniziativa pubblica”, in cui l’amministrazione impostava l’operazione di partenariato, e quello a c.d. “iniziativa privata”, dove il compito propulsivo era lasciato alla imprenditorialità dei soggetti.
Oggi le procedure per giungere ad un contratto di concessione sono almeno quattro, molto differenti tra di loro. Ciò che qui però conta, senza entrare nelle diverse discipline procedimentali, è che, a prescindere dalla procedura scelta, in ogni caso al termine della stessa si giunge ad un contratto di concessione ed a questo possono essere collegate tecniche di finanza di progetto. Quindi la vera finanza di progetto non è una “procedura”, ma una tecnica finanziaria.
Il legislatore, quindi, comprendendo che per coinvolgere capitali privati nella realizzazione di opere pubbliche sono necessari iter procedimentali ad hoc e diversi da quelli in cui si sceglie un appaltatore a cui conferire denaro pubblico, ha predisposto una serie di procedimenti, dando loro il nome del risultato a cui sono tesi, ossia la “finanza di progetto”. In buona sostanza, il tragitto procedimentale ha preso il nome della meta a cui tende, anche se le due cose sono e devono rimanere distinte.
Per comprendere quanto sin qui detto, si deve partire dalla definizione comunitaria di partenariato pubblico privato (il c.d. "ppp"). Il ppp comprende ogni forma di cooperazione tra autorità pubbliche ed operatori economici privati avente il fine di garantire il finanziamento, la costruzione o la gestione di un’infrastruttura o di un servizio.
La principale divisione che si compie all’interno dell’insieme ppp è quella tra formule contrattuali e formule istituzionali. Con le prime, pubblico e privato colloquiano tramite un contratto che disciplina le reciproche obbligazioni; con le seconde, gli attori in gioco creano un soggetto terzo rispetto a loro, che veicola i reciproci interessi. Un esempio di ppp contrattuale è la concessione di lavori pubblici; un esempio di ppp istituzionale è la c.d. "società mista". Orbene, la c.d. "finanza di progetto" costituisce un’ipotesi di ppp contrattuale.
Si sottolinea come tale considerazione sia oggi stata recepita dal legislatore divenendo norma: l’art. 3, comma 15 bis, introdotto dal D.Lgs. n. 152 del 2008 stabilisce che “i «contratti di partenariato pubblico privato» sono contratti aventi per oggetto una o più prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti. Rientrano, a titolo esemplificativo, tra i contratti di partenariato pubblico privato la concessione di lavori, la concessione di servizi, la locazione finanziaria, l’affidamento di lavori mediante finanza di progetto, le società miste. Possono rientrare altresì tra le operazioni di partenariato pubblico privato l’affidamento a contraente generale ove il corrispettivo per la realizzazione dell’opera sia in tutto o in parte posticipato e collegato alla disponibilità dell’opera per il committente o per utenti terzi. Fatti salvi gli obblighi di comunicazione previsti dall’articolo 44, comma 1-bis del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, alle operazioni di partenariato pubblico privato si applicano i contenuti delle decisioni Eurostat”.
Il presente documento non vuole e non può entrare in modo specifico nella materia, ma si limita ad una attività classificatoria e definitoria, indispensabile per ogni futuro ragionamento.
L’esperienza insegna come, al variare del proprio interlocutore, muti il concetto di finanza di progetto: per la generalità degli amministratori e funzionari pubblici, finanza di progetto è una procedura amministrativa, nello specifico quella disciplinata dagli artt. 152 e ss. del Codice dei contratti pubblici; nei confronti di un soggetto bancario, la finanza di progetto è una metodologia per erogare prestiti; nell’ottica di un costruttore è un contratto alternativo all’appalto per ottenere l’affidamento di un lavoro, mentre per un gestore di servizi rappresenta un diverso iter per giungere alla effettuazione della propria attività.
In realtà nelle operazioni di c.d. "finanza di progetto" c’è tutto questo e, proprio per questo motivo, è necessario operare distinzioni.
Il fulcro di tutto l’impianto normativo e contrattuale oggi presente nel nostro ordinamento è il contratto di concessione di lavori pubblici. La concessione, in quanto contratto, regolamenta i rapporti giuridici tra una amministrazione ed un privato.
L’ordinamento prevede due diversi tipi di concessione:
a) concessione con ricorso al mercato;
b) concessione con utilizzazione diretta dell’opera da parte della pubblica amministrazione concedente.
Nella concessione con ricorso al mercato, l’amministrazione richiede ad un privato di progettare, costruire e gestire un’opera pubblica. A titolo di corrispettivo, l’amministrazione non corrisponde somme di denaro al concessionario (o, al massimo, conferisce un prezzo che copre solo parzialmente il costo dell’opera), poiché gli concede il diritto di sfruttare economicamente l’opera. Si parla allora di c.d. "opere calde”, intese come quelle opere potenzialmente capaci di creare flussi di cassa, ossia entrate corrisposte dagli utenti/clienti/cittadini che utilizzano l’opera dietro un pagamento. L’esempio oggi più frequente è quello dei parcheggi. In queste concessioni il privato concessionario si accolla porzioni di rischio di mercato.
L’amministrazione concedente, nell’allocare rischi sul privato, non può omettere di valutare che, ciò che il privato classifica come iniziativa imprenditoriale, per la stessa amministrazione è servizio pubblico. Pertanto, la stessa amministrazione non si può permettere un insuccesso del privato, poiché ciò coinciderebbe necessariamente con un mal funzionante del servizio pubblico reso ai cittadini.
I rischi allocati ai privati devono, pertanto, prevedere meccanismi di tutela pubblica. Qui risiede la novità del sistema: tali tutele non sono garanzie e finanziamenti, ma meccanismi contrattuali di corretta gestione dei flussi di cassa. Lo studio di fattibilità e, soprattutto, il contratto divengono, quindi, strumenti che devono tendere al perseguimento di pubblici interessi e contemporaneamente al raggiungimento di successi imprenditoriali.
La concessione con utilizzazione diretta dell’opera da parte della amministrazione concedente rappresenta il modo per poter applicare l’istituto alle c.d. opere “fredde”, ossia prive della potenzialità di creare flussi di cassa. In questi casi l’amministrazione gioca due ruoli: quello di concedente e quello di utente del servizio che l’opera genera. Il caso più comune è quello delle sedi uniche degli uffici comunali. Per esplicare le proprie attività istituzionali, infatti, l’amministrazione non necessita solo e soltanto di un edificio direzionale, inteso come opera a sé stante, ma piuttosto di un immobile funzionale utile nel corso del tempo, e, pertanto, ben mantenuto e gestito in ogni sua funzionalità (acqua, energia, calore etc.). Concedendo al privato la realizzazione dell’opera, l’amministrazione trova un interlocutore in grado di progettare, costruire e gestire l’opera, in cambio di un canone periodico che copre e remunera sia gli investimenti costruttivi, sia le attività gestorie. A differenza della concessione con ricorso al mercato, la concessione con utilizzazione diretta comporta per gli attori in gioco, sia pubblici sia privati, minori alee di rischio.
Si noti come entrambe le formule di contratto di concessione, a differenza dei contratti di appalto, sono strumenti di grande funzionalità per gestire i vincoli di bilancio oggi presenti nella finanza pubblica. Ebbene, a questi due contratti, come a tutti i contratti pubblici, si giunge attraverso una procedura amministrativa di selezione. Il nostro ordinamento, fino al 17 ottobre 2008, giorno di entrata in vigore del D.Lgs. 152/2008, c.d. "terzo decreto correttivo al Codice dei contratti pubblici", prevedeva due diverse vie: una su iniziativa dell’amministrazione e, l’altra, su iniziativa del privato. E’ questa seconda procedura che gergalmente aveva preso il nome di finanza di progetto, ma, come tutti i gerghi, in modo improprio. Come si è detto, oggi l’art. 153 del Codice è rubricato “Finanza di progetto”, quindi il gergo è divenuto legge. Ciò non toglie che, in qualche modo, l’improprietà del linguaggio rimanga, anche se ovviamente la penna del legislatore dona a tale linguaggio vigore di legge.
In aggiunta alla mera modifica di rubrica, l’art. 153 del Codice è stato del tutto sostituito, introducendo diversi iter procedurali per giungere al contratto di concessione. Ciò che resta, e che qui conta, è che sia l’art. 143 sia l’art. 153 del Codice prevedono diversi iter che portano all’aggiudicazione del contratto, e quel contratto è sempre e comunque un contratto di concessione. Si osservi che ove quel contratto non fosse di concessione ma di appalto, l’intera procedura sarebbe illegittima.
Ebbene, fino ad ora, tecnicamente, non si è ancora affrontato il tema della finanza di progetto. Infatti, la finanza di progetto non è né una procedura, né un contratto, ma è un composito meccanismo economico, finanziario e negoziale, il quale presuppone che un imprenditore si presenti ad un finanziatore portando, come garanzie del prestito che richiede, la remuneratività di un progetto che si accinge ad intraprendere. Pertanto, nella logica dell’istituto, il finanziatore dovrebbe finanziare il “progetto“ e non il “soggetto”.
Questa logica è alla base delle norme dedicate al tema dal Codice dei contratti pubblici, che non regolamentano l’istituto nel suo complesso, ma ne fissano alcuni punti fermi quando una delle parti in gioco è l’amministrazione. Si noti, peraltro, che l’amministrazione non è mai direttamente parte nella finanza di progetto (che è operazione tra privati) pur giocando un fondamentale ruolo indiretto, in quanto il tutto presuppone un contratto di concessione, accordo firmato dalla amministrazione e che regge, in un rapporto di collegamento contrattuale, tutti gli altri accordi stipulati tra privati.
Pertanto, prescindendo dalla procedura adottata, il termine “project-financing” identifica un sistema di realizzazione di lavori pubblici attraverso l’opera ed il finanziamento privato.
Si tratta di un sistema che consente l’affidamento, della progettazione, della realizzazione e della gestione di un’opera pubblica mediante il concorso di un investitore privato, il cui capitale sarà remunerato da entrate derivanti, in linea di principio, dalla gestione dell’opera per un arco temporale contrattualmente determinato.
Il modello, in prima approssimazione, è stato definito come “un’operazione di finanziamento di una particolare unità economica, nella quale un finanziatore è soddisfatto di considerare (…) il flusso di cassa dell’unità economica in oggetto come la sorgente di fondi che consentirà il rimborso del prestito e le attività dell’unità economica come garanzia del prestito” (P.K. Nevitt, Project financing, a cura di P. De Sury, 1987, pag. 13 e segg.).
Da questa breve definizione si evince che la caratteristica peculiare di questo strumento è data dalla possibilità, per l’attività economica finanziata, di produrre flussi di cassa positivi sufficienti a coprire i costi operativi, tali da consentire al privato promotore dell’iniziativa la restituzione delle somme ricevute in prestito per la realizzazione del progetto, garantendogli altresì un certo margine di profitto.
Il promotore, infatti, è uno dei principali attori di tali operazioni, in ragione del fatto che la gestione deve avere capacità di produrre flussi di cassa tali da attirare capitale di finanziamento nella misura necessaria, capitale che, per lo più, è capitale di debito, finanziato da istituti di credito. Non a caso il modello puro di finanza di progetto viene anche definito come “progetto che si finanzia con la sua realizzazione”.
Le esperienze più significative e strutturate in questo campo si sono sviluppate originariamente nei paesi di common law (per la verità con una più precisa e diversa definizione: P.f.i. – Private finance initiative), per poi successivamente trovare applicazione e disciplina in numerosi paesi dell’area di civil law. Tale fenomeno deriva più da taluni caratteri propri delle economie dei paesi in cui si sono sviluppati tali istituti, piuttosto che da ragioni di natura tecnico-giuridica. La relativa facilità con la quale i modelli in questione si stanno diffondendo è da ricercarsi, più che nella pur rapida circolazione dei modelli giuridici, nella difficoltà delle amministrazioni pubbliche di reperire le risorse necessarie per la realizzazione di opere destinate al soddisfacimento dei bisogni della collettività. Infatti, l’entità della domanda pubblica è sempre più influenzata dai problemi di contenimento della spesa della pubblica amministrazione ed i vincoli al debito pubblico mostrano chiaramente i limiti degli strumenti tradizionali (contratto di appalto) che si incentrano, in definitiva, nel pagamento del prezzo della prestazione richiesta da parte dell’Amministrazione pubblica committente.
Evidentemente tali strumenti diventano sempre più rigidi e difficilmente utilizzabili laddove vi sia una ridotta liquidità da parte dei soggetti pubblici (committenti) e, al contempo, rilevanti vincoli al cosiddetto deficit spending. La situazione di necessità che ne deriva produce modifiche assai rilevanti all’azione dello Stato e degli enti pubblici; dal momento che la (crescente) richiesta di opere e infrastrutture pubbliche non può essere soddisfatta mediante il ricorso alla finanza pubblica, si comprende l’interesse per tutte quelle forme giuridiche che, secondo modalità diverse, consentono di rispondere alla domanda mediante soluzioni che non prevedono (l’immediato) pagamento del prezzo da parte del committente pubblico.
La finanza di progetto, dunque, può realizzarsi con numerosi istituti giuridici (alcuni dei quali da tempo presenti nel nostro ordinamento) che hanno in comune il carattere di sostituire il prezzo (inteso come immediata spendita di denaro pubblico) con altre modalità di pagamento del corrispettivo all’agente privato.
Il modello “puro” di finanza di progetto, dal punto di vista dell’agente privato, ha alcune caratteristiche peculiari. Il punto essenziale, infatti, si ravvisa negli aspetti economico-finanziari. Si tratta, in definitiva, di una tecnica di finanziamento alternativa rispetto alle tradizionali forme di finanziamento di impresa, in cui l’istituto bancario valuta il grado di solvibilità dell’impresa in relazione alla sua consistenza patrimoniale nonché alla sua titolarità di beni su cui poter ottenere garanzie reali. Al contrario, nelle operazioni di project financing, la banca valuta principalmente la qualità del progetto e, in particolare, la sua capacità a generare flussi di cassa in grado di rimborsare il prestito erogato, mettendo in secondo piano le valutazioni di ordine economico-finanziario del promotore.
E’ evidente che siffatta caratteristica implica che non tutte le opere siano finanziabili, poiché lo saranno soltanto quelle idonee a generare flussi di cassa costanti per un determinato periodo di tempo.
Per agevolare il raggiungimento degli obbiettivi alla base della finanza di progetto è prevista normalmente la creazione di un autonomo centro di riferimento, la società di progetto, la quale assume come oggetto sociale esclusivo la realizzazione del progetto per consentire un isolamento economico-finanziario dell’iniziativa rispetto alle altre attività dei soggetti coinvolti, con evidenti vantaggi sia per gli sponsor che per gli enti finanziatori.
Si ritiene che le ragioni del successo di un’operazione di finanza di progetto dipendano strettamente dall’esistenza di meccanismi giuridici ed economici in grado di realizzare una razionale distribuzione dei costi e dei benefici tra le parti coinvolte.
Sotto il profilo giuridico, la finanza di progetto è formata da una sommatoria di singoli contratti (contratti di fornitura, di appalto, di finanziamento, di garanzia, di società, di concessione di costruzione e di gestione) che ne costituiscono la struttura. Perciò parte della dottrina ha definito l’articolata vicenda come una fattispecie negoziale atipica con causa complessa.