Il Community Lab della Regione Emilia-Romagna e i Patti di Collaborazione

La Sezione Ricerche pubblica la tesi di laurea triennale del dott. Danilo Ferrante, intitolata “Innovazione sociale e capacitazione personale“. Nel lavoro, l’Autore, dopo aver definito i due macro-concetti della capacitazione personale e dell’innovazione sociale, analizza lo strumento del Community Lab promosso dalla Regione Emilia-Romagna e la sua implementazione per la definizione di un progetto realizzato nei comuni dell’Unione della Bassa Reggiana.

Due chiavi di volta per il cambiamento sociale

Nelle comunità locali la capacitazione personale assume la forma di un concetto tri-fasico che si sostanzia, mediante l’azione delle articolazioni dello Stato, nell’eliminazione delle circostanze che ostacolano un cittadino dalla messa in atto di una sua capacità, nell’agevolargli il superamento del sentimento d’impotenza sviluppato perché ha subito questa limitazione circostanziale e infine nell’allenamento di quella specifica capacità.
L’innovazione sociale nel livello micro-territoriale si sostanzia invece in nuove idee sotto forma di servizi, prodotti e modelli orientati alla sperimentazione, alla valutazione e allo sviluppo di soluzioni innovative per affrontare i bisogni di carattere sociale soprattutto attraverso la partecipazione delle parti sociali. Un cambiamento sociale acquista pregnanza-durevolezza temporale proprio grazie all’intersecazione ottimale tra questi due macro-concetti.

Il Community Lab emiliano-romagnolo

All’interno della pianificazione sociale zonale della Regione Emilia-Romagna, compiuta da anni col metodo del Community Lab, affluiscono sia la capacitazione personale che l’innovazione sociale, come appena definite: lo scopo principale del Community Lab è quello di rendere le Pubbliche Amministrazioni più prossimali alla cittadinanza locale.
Il Community Lab è uno strumento creato nel 2011 dall’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali (A.S.R.R.) ed è tutt’oggi applicato ai Piani di Zona distrettuali emiliani. Esso rappresenta il risultato della convergenza tra informazione-formazione-motivazione e processi partecipativi coinvolgenti il Terzo settore, le imprese, i cittadini e le Pubbliche amministrazioni; viene rappresentato dalla Regione col frutto di un melograno, perché, come afferma Patrizio Roversi nella sua introduzione al Community Lab, «è un simbolo sociale di qualcosa che sta insieme» ed è sinergicamente interconnesso.

Le fasi del Community Lab

Il Community Lab nella sua fase iniziale vede le realtà locali segnalare alla Regione casi di studio innovativi, ossia progetti pilota locali, mentre nella seconda si dà avvio alla formazione dei facilitatori impegnati all’interno dei Tavoli locali, per facilitare i cittadini nella co-analisi del caso di studio e nella co-ideazione. Segue, così, l’implementazione dei progetti e per finire il monitoraggio democratico compiuto dagli stessi cittadini; quest’ultima attività è affidata alla Cabina di Regia Allargata. Conclusi i Piani di Zona, il Community Lab estrapola dalla rendicontazione quali-quantitativa complessiva delle linee guida sulla progettazione locale, atte a perfezionare continuamente i suoi processi locali.
Il Laboratorio ha trovato la sua applicazione in tre percorsi di apprendimento induttivo, che favoriscono il confronto tra diversi attori impegnati nei Piani di Zona distrettuali, ognuno dei quali ha avuto due edizioni; ha trattato tematiche quali: la conflittualità familiare, il percorso di istituzione delle Unioni dei Comuni e la programmazione locale partecipata.

Le due colonne portanti del Community Lab

Dissertando il Community Lab si scopre che è sorretto da due colonne portanti: lo sperimentalismo circolare (concetto ripreso dai lavori di Charles Sabel) e l’apprendimento situato (assunto ripreso da Jean Lave ed Etienne Wenger).
Contestualizzando questi due concetti al Community Lab emerge che: l’apprendimento situato del Laboratorio all’interno del Piani di Zona può essere letto come una reciproca condivisione di esperienze ed azioni, che permette l’apprendimento concreto di ogni partecipante; lo sperimentalismo circolare può essere interpretato come l’atto di porre le sperimentazioni locali innovate (sui casi di studio) al centro del sistema dei Piani di Zona per innovare le Pubbliche Amministrazioni. Compenetrando la natura del Community Lab è possibile rappresentare l’anatomia di tale strumento: dalla capacitazione personale (apprendimento situato) si articolano la consulenza e la formazione destinate a chi gestisce il processo nei livelli istituzionale, distrettuale e locale; dall’innovazione sociale (sperimentalismo circolare) invece si diramano la valutazione, la ricerca e la progettazione nei livelli locale e regionale.
Dalle diverse ampiezze raggiunte dalle trasformazioni sociali positive prodotte dal Community Lab si possono desumere tre tipologie di cambiamenti, coincidenti ad altrettanti differenti dimensioni sistemico-territoriali: la micro-innovazione sociale (trasformazione di specifici servizi locali), la meso-innovazione sociale (ottimizzazione di specifici servizi distrettuali) e la macro-innovazione sociale (miglioramento dell’intero processo di realizzazione dei Piani di Zona).

Il Community Lab nell’Unione Bassa Reggiana e i Patti di Collaborazione

Un progetto che massimizza la convergenza dei due concetti di capacitazione e innovazione finora descritti è “Contaminazioni resilienti per un New Deal digitale” dell’Unione Bassa Reggiana: il Community Lab qui ha avuto lo scopo di favorire la partecipazione locale per la ridefinizione delle priorità dell’agenda digitale locale (o adlER). Tale Agenda è uno strumento digitale politico-programmatico essenziale per la genesi sistemi di welfare partecipativi nelle comunità locali e, nel 2019, in Bassa Reggiana ha rappresentato il centro di confluenza di una concreta presa in carico collettiva dei beni comuni.
A monte dell’intero processo vediamo l’alfabetizzazione digitale delle popolazioni dei Comuni dell’Unione (mediante corsi di formazione e formazioni peer to peer) e l’avvio di un processo partecipativo quadri-fasico che ha avuto lo scopo di delineare i progetti e le priorità dell’agenda digitale locale. La prima fase di co-definizione del “Regolamento per la cittadinanza attiva e i beni comuni” ha visto la concertazione della popolazione locale sia dal vivo che online; la seconda fase di co-progettazione dal basso ha visto la nascita di sei gruppi di lavoro, i cui prodotti sottoposti a votazione hanno generato ben sei Patti di collaborazione; la terza fase ha previsto l’implementazione di tali Patti; la quarta, ed ultima, fase consiste nel monitoraggio civico e sperimentale dei Patti consolidati.
Da tali processi è scaturita l’innovazione sociale della digitalizzazione dei beni comuni, dell’aumento del capitale sociale e dell’avvicinamento delle pubblica amministrazione ai cittadini.
L’agenda digitale locale in questo contesto territoriale ha avuto quindi il ruolo di collegare il livello del Piano di Zona (strumento fondamentale per la programmazione integrata a livello zonale) a quello del Patto di Collaborazione (strumento essenziale per l’Amministrazione condivisa a livello locale), ma ciò è stato concretizzato da due innovazioni intrinseche al Community Lab, cioè i Tavoli a porte girevoli (luoghi della co-progettazione locale flessibilmente aperti alla partecipazione di nuovi membri) e le Cabine di Regia Allargate (per la gestione e il monitoraggio democratico dei processi avviati).

Foto di copertina: Arjun Kapoor su Unsplash