Le pompe usate per sollevare acqua incapace di defluire da sola si chiamano «idròvore». Questa è l'idrovora di Vallesanta. L'acqua che solleva non è sotto il livello del mare, ma è più bassa del livello del Reno, in cui dovrebbe scaricarsi. Le idrovore sono mosse dall'energia di motori elettrici. E l'energia arriva dalle centrali idroelettriche della montagna: così, l'energia liberata dalle acque che scendono impetuose nei torrenti montani, aiuta le acque troppo basse della pianura a risalire nei loro ultimi passi. Foto scattata a Vallesanta, presso Campotto (si raggiunge per strade secondarie, da Medicina o da Argenta). Valle d'acqua dolce, residuo della Cassa di colmata dell'Idice, oggi cassa di espansione: vi si versano le acque in eccesso dell'Idice durante le piene. Quest'acqua si scarica nel Reno: da sé, per gravità, quando il Reno è in magra; con l'aiuto dell'impianto idrovoro quando il Reno è più alto della «valle» (esclusi i momenti di massima piena). I tre grandi tubi corrispondono a tre gruppi motore-pompa.
2 - Le acque dell'Emilia Romagna
Questo era il fondo della Valle di Mezzano. Nella fotografia è prosciugato da quattro anni e coltivato a orzo. Dell'originario ambiente acquatico restano frammenti di conchiglie bianche. Siamo nelle terre più basse dell'Emilia-Romagna: già sotto il livello del mare quando erano sommerse, si abbasseranno ancora per effetto del «costipamento»; perché asciugandosi il terreno occupa meno spazio. Nei canali di scolo, l'acqua scende anche a 5 metri sotto il livello del mare: non potrà più defluire da sola. Ci vuole energia per sollevarla di almeno 5 metri. Foto scattata dall'Argine Agosta (strada Comacchio-Alfonsine, circa 10 km da Comacchio), guardando verso Ovest. La valle del Mezzano, la più grande delle Valli di Comacchio, è stata prosciugata negli anni sessanta, quando già si erano manifestati molti dubbi sulla convenienza di proseguire questo tipo di interventi. Adesso è un ambiente artificiale instabile (la sua condizione stabile sarebbe sommersa) e occorre energia per mantenerlo (per sollevarne l'acqua al livello del mare).
Un impianto di depurazione delle acque: vi arrivano le acque di rifiuto delle abitazioni di un tratto di costa, intorno a Cervia e Milano Marittima. Le impurità solide si depositano nelle vasche di decantazione. Nei digestori, recipienti come quello che si vede al centro, le sostanze organiche vengono decomposte da batteri e trasformate in composti stabili, inerti o anche fertilizzanti. L'acqua così trattata viene usata per irrigazione: arriverà nei corsi d'acqua e nel mare come innocuo scolo dei campi. Foto scattata a Milano Marittima, località Aie Bassona. Impianti come questo, pubblici; si sono diffusi sulla costa adriatica (I'Operazione mare pulito); e molti impianti di depurazione sono in costruzione nella Regione.
In basso, un lembo della Pineta San Vitale, al confine con le acque salmastre della Pialassa della Baiona. Un canale di scolo, il Fossatone, attraversa la pineta e prosegue nell'acqua della laguna, tra due argini abbastanza solidi da sostenere delle case. Gli altri argini, paralleli alla pineta, sono resti di antichissime dune costiere; i due canaletti arginati, a destra, vanno verso il mare. Qui, come nelle valli da pesca, siamo al livello del mare: più esattamente, un po' sotto, in condizioni di alta marea, e allora l'acqua salata del mare entra nelle valli; in bassa marea è il contrario: l'acqua marina si ritira e le correnti di riflusso tengono sgombri i canali. Finché durerà questa circolazione, la Pialassa sarà una laguna viva. E potrà assorbire l'acqua in eccesso, in caso di piena dei fiumi, o di acqua alta del mare. Foto scattata dall'aereo. Le valli costiere sono per l'acqua un ultimo luogo di sosta, subito prima del mare. E così finivano, in una «valle», tutti i fiumi dell'Emilia-Romagna a Est del Panaro (gli ultimi due, Idice e Lamone, finivano nelle loro «Casse di colmata• fino a pochi anni fa). Il Fossatone porta acqua dolce nella Pialassa, che comunica anche col mare. «Piallasse» si chiamano alcune lagune salmastre intorno a Ravenna (da •pia e lassa - per la loro funzione di polmone delle acque in eccesso).
L'attrezzatura per la pesca in valle, elaborata da un'esperienza di secoli. Le linee bianche, che sembrano disegnare punte di freccia, sono i profili affioranti dei «lavorieri». Le loro direzioni, e quelle dei canali, convergono verso un punto a destra, poco oltre il margine della fotografia: qui viene aperta, in autunno, la comunicazione col mare. Dal resto della laguna, i pesci accorrono al richiamo del mare: le pareti dei lavorieri, fatte di rete, li guidano verso il «pizzo», vertice dell'angolo. Superato il primo vertice, aperto a tutti, i pesci si affollano in un bacino di raccolta, da cui è difficile tornare indietro. Il secondo vertice è chiuso per i cefali, più grandi, che qui vengono pescati; al terzo vertice vengono raccolte le anguille. Sull'argine tra i due lavorieri sorge il Casone di Valle Nuova, base per i pescatori e magazzino per gli attrezzi. Presso la casa, a destra, si vedono tre «bòlaghe», grosse ceste per conservare le anguille nell'acqua. Questo labirinto di canali è l'estremità nordorientale delle Valli Benuzzi. Foto scattata dall'aereo. «Valle•(da «vallum•) localmente vuol dire «specchio d'acqua, dolce o salata, con basso fondale, più o meno interamente circondato da argini•. Questa è una «valle salsa•: il mare vi entra con l'alta marea attraverso la Sacca di Gora e l'ultimo tratto del Po di Volano. Dal Po di Volano può entrare anche acqua dolce: aprendo o chiudendo al momento giusto le «chiaviche» (saracinesche) si può regolare la salinità dell'acqua (e la temperatura); manovra fondamentale delle «valli da pesca>.